ATTESA
Tumulto d'angoscia suscitato dall'attesa dell'essere amato in seguito a piccolissimi ritardi (appuntamenti, telefonate, lettere, ritorni).
1. Sto aspettando un arrivo, un ritorno, un segnale promesso. Ciò può essere futile o infinitamente patetico: in Earwartung (attesa), una donna aspetta, nella foresta, di notte il suo amante; io sto aspettando solamente una telefonata, ma è la stessa angoscia. Tutto è solenne: non ho il senso delle proporzioni.
2.Vi è una scenografia nell'attesa: io la organizzo, la manipolo, ritaglio un pezzo di tempo in cui mimerò la perdità dell'oggetto amato e provocherò tutti gli effetti di u piccolo lutto. Tutto questo avviene dunque come in una recita.
La scena rappresenta l'interno di un caffè; abbiamo appuntamento ed io sto aspettando. Nel Prologo, unico attore della commedia (e a ragione), io constato, registro il ritardo dell'altro; questo ritardo è ancora soltanto un'entità matematica, computabile (guardo il mio orologio diverse volte); il Prologo finisce quando, con un colpo di testa, decido di "farmi venire il sangue cattivo", di dare libero sfogo all'angoscia dell'attesa, Qui ha inizio il I atto; esso passa in congetture: e se pe caso non ci fossimo capiti circa l'ora, il posto? Cerco di ricordarmi il momento in cui è stato fissato l'appuntamento, le indicazioni che ci siamo scambiati. Che fare (angoscia di comportamento)? Andare in un altro caffè? Telefonare? Ma se l'altro arriva mentre io non ci sono? Non vedendomi. c'è il rischio che se ne vada, ecc. Il II atto è quello dell'ira; rimprovero violentamente l'assente: <<>>, <> Ah! se lei (lui) fosse qui, potrei rimproverarle(gli) di non essere qui! Nel III atto, raggiungo (ottengo) l'angoscia pura: quella dell'abbandono: in un attimo, io sono passato dall'assenza alla morte; l'altro è come morto: esplosione di lutto: io sono interiormente livido. Questa è la recita; essa può essere abbreviata dall'arrivo dell'altro; se arriva in I, l'accoglienza è calma; se arriva in II, avviene una <>; se arriva in III, vi è la riconoscenza, l'atto di grazia: io respiro nuovamente a pieni polmoni, come Pelléas allorché, uscendo dal sotterraneo, ritrova a vita, il profumo delle rose.(L'angoscia dell'attesa non è continuamente violenta; essa ha i suoi momenti di stanca; io aspetto, e tutto ciò che circonda la mia attesa è irreale: in questo caffè, io guardo gli altri che entrano, chiacchierano, scherzano, leggono tranquillamente: loro, non stanno aspettando).
3. L'attesa è un incantesimo: io ho avuto l'ordine di non muovermi. L'attesa d'una telefonata si va così intessendo di una rete di piccoli divieti, all'infnito, fino alla vergogna: proibisco a me stesso di uscire dalla stanza, di andare al gabinetto, addirittura di telefonare (per non tenere occupato l'apparecchio); per la stessa ragione, io soffro se qualcuno mi telefona; l'idea che di lì a poco dovrò uscire, correndo così il rischio di essere assente al momento dell'eventuale chiamata riconfortante, del ritorno della Madre mi tormenta. Tutti questi diversivi sono dei momenti perduti per l'attesa, l'angoscia dell'attesa esige che io me ne stia seduto in una poltrona con il telefono a portata di mano senza far niente.
4. L'essere che io aspetto non è reale. Come il seno materno per il poppante, <>: l'atro viene là dove io lo sto aspettando, là dove io l'ho già creato. E, se lui non viene, io lo allucino: l'attesa un delirio.Ancora il telefono: ad ogni squillo, sollevo precipitosamente la cornetta, immagino che a chiamarmi sia l'essere amato( dato che mi deve telefonare); ancora uno sforzo, è <> la sua voce, incomincio a dialogare, per poi volgermi con rabbia contro l'importuno che mi ha tratto dal mio delirio. Al caffè, ogni persona che entra, anche se appena vagamente rassomigliante, viene in tal modo, almeno in un primo momento, riconosciuta.E ancora molto tempo dopo che la relazione amorosa si è acquietata, io conservo l'abitudine di allucinare l'essere che ho amato: talora, una telefonata che tarda a venire riesce ancora ad angosciarmi e, in ogni importuno, credo di riconoscere la voce che amavo: io sono un mutilato che continua ad avere male alla gamba amputata.
5. <>. L'altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è altro che: IO SONO QUELLO CHE ASPETTA....
6. Un mandarino era innamorato di una coritigiana.<>. Ma, alla novantanovesima notte, il mandarino si alzò, prese il sgabello sotto il braccio e se n'andò.
(Frammenti di un discorso amoroso - Roland Barthes )
Mi è sembrato di una rappresentazione cosi fedele che merita essere letta...
Love to all of U,
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